Gli inizi del Padiglione svizzero alla Città internazionale universitaria di Parigi
A cavallo tra la diplomazia culturale e la diplomazia scientifica, il Padiglione svizzero alla Città internazionale universitaria di Parigi costituisce uno tra i primi punti fissi all’estero previsti per la diffusione la cultura elvetica.
Nel contesto pacifista successivo al primo conflitto mondiale viene creata nel 1925 la Città internazionale universitaria, per iniziativa dell’uomo d’affari e filantropo Émile Deutsch de la Meurthe e del ministro André Honnorat. Diversi paesi si adoperano per questo progetto: quattordici padiglioni nazionali (Canada, Belgio, Argentina, ecc.) vengono costruiti prima dell’apertura del Padiglione svizzero, avvenuta il 7 luglio 1933.
Diverse dinamiche si nascondono dietro la volontà d’affermare una presenza elvetica in seno alla Città, allora in piena crescita. I membri della comunità degli svizzeri a Parigi, raggruppati attorno all’Unione svizzera di propaganda patriottica, non intendono restare indietro rispetto agli altri cittadini stranieri residenti nella capitale francese, che già avevano aderito al progetto della Città internazionale. L’iniziativa per la costruzione di un padiglione svizzero trova un punto di riferimento importante in Svizzera nella persona del professore di matematica Karl Rudolf Fueter, che crea un comitato centrale per la raccolta dei fondi. Oltre a una presenza elvetica, questo accademico, ex rettore dell’Università di Zurigo, desidera soprattutto costruire una dimora al servizio degli studenti svizzeri iscritti nelle diverse università parigine: non è forse vero che il loro numero è passato da 70 nel 1920 a 242 nel 1927? L’11 febbraio il Consiglio federale decide di prendere questo progetto sotto il suo patrocinio, ma bisogna attendere fino al 1930 per vederlo concretizzarsi.
La scelta di Le Corbusier per la realizzazione del Padiglione è stata elaborata dietro le quinte, aggirando così la Delegazione, che propendeva piuttosto per un concorso aperto agli architetti svizzeri residenti a Parigi. Fueter, architetti quali Karl Moser, e il banchiere Raoul La Roche, un donatore importante amico dell’architetto di La Chaux-de-Fonds, lo sostengono con successo. Il Padiglione svizzero costituisce uno tra i pochi lavori commissionati a Le Corbusier delle autorità svizzere.
Non sorprende che la concezione dell’edificio non abbia fatto l’unanimità in occasione dell’inaugurazione, alla quale presenzia soltanto il Presidente della Repubblica Albert Lebrun, in assenza di un rappresentante del Consiglio Federale. In effetti Giuseppe Motta si è recato a Parigi unicamente in occasione della posa della prima pietra nel 1931. Audacia architettonica per gli uni (che sono rari), opera scandalosa per gli altri, tra cui i principali quotidiani romandi. La redazione della Gazette de Lausanne, riprendendo un’espressione di Le Corbusier, parla di un’ “orrenda macchina da abitare che ridicolizza la Svizzera” (La Gazette de Lausanne, 11.7.1933). L’architetto ginevrino Alexander von Senger attacca in modo virulento il progetto del Padiglione in un pamphlet intitolato Il cavallo di Troia del bolscevismo (Le cheval de Troie du bolchévisme, Bienne, Ed. du Chandelier, 1931): contemporaneamente a una dura critica contro l’edificio di Le Corbusier – il quale si sarebbe compiaciuto di rispondere “Il cavallo, sono io” –, attacca l’insieme della nuova architettura e dell’architettura industriale promosse dal Werkbund.
Il padiglione, diretto dal critico d’arte vallesano Pierre Courthion, trova rapidamente il suo ritmo di crociera prima della guerra, accogliendo annualmente un centinaio di studenti ed organizzando regolarmente delle manifestazioni culturali (conferenze, pièce teatrali).
Archivi:
AFS, E 2001 (D), 1000/1553/251.
Bibliografia:
Zaknic Ivan, Le Corbusier: Pavillon Suisse. Biographie d’un bâtiment, Basel/Boston/Berlin, Birkhäuser, 2004.