Esistono diplomatici-scrittori svizzeri?
Con l’avvento della diplomazia moderna si delinea una nuova figura a cavallo tra il mondo delle ambasciate e quello delle lettere: il diplomatico-scrittore. La scrittura, sia essa dei rapporti o della letteratura, è al centro della sua doppia attività che si autoalimenta: l’esperienza dei viaggi porta acqua al mulino della scrittura letteraria che, a mano a mano che si affina, permette di redigere dei rapporti più precisi e pertinenti per il ministero.
All’inizio del XX secolo, in Francia, la figura del diplomatico-scrittore viene meglio definita grazie a delle personalità quali Paul Claudel, Alexis Léger – alias Saint-John Perse –, e Paul Morand, tra i quali probabilmente soltanto il primo riesce a combinare allo stesso tempo le due carriere di diplomatico e scrittore. Gli altri approfittano soprattutto della creazione, nel 1920, del Service des oeuvres françaises à l’étranger: si tratta di un’innovazione del Ministero degli Affari Esteri in materia di diplomazia culturale successiva alla Prima Guerra mondiale.
In Svizzera, invece, le istituzioni diplomatiche sono ancora poco sviluppate e l’editoria, strutturata nelle diverse regioni linguistiche, non è paragonabile alla consorella parigina. Ciò ha delle ripercussioni sulla figura dello scrittore svizzero, che spesso viene pubblicato in Francia o in Germania, e non può che raramente giocare il ruolo d’ambasciatore culturale nazionale, contrariamente ai suoi omologhi francesi.
Malgrado ciò, guardando più da vicino si può notare che alcune personalità elvetiche sembrano aver giocato, spesso in alternanza, sui due fronti, diplomatico e letterario. Jacques Rial, ambasciatore in pensione, ha pubblicato una bibliografia quasi esaustiva dei libri scritti da diplomatici svizzeri dal 1848 (Le bicorne et la plume, 2008). Sebbene la maggior parte dei volumi consista in minuziosi studi giuridici ed economici, alcuni diplomatici hanno anche pubblicato dei testi letterari. Inoltre, ci sono evidentemente le Memorie, scritte al termine di una carriera per condividere o giustificare determinate azioni. In questo contesto i libri principali sono di due segretari di Stato, Albert Weitnauer ed Eduard Brunner. Che fine ha fatto però la fantasia?
Prima della Seconda Guerra mondiale il diplomatico più prolifico è senza dubbio il friborghese René de Weck, non solo grazie ai numerosi romanzi scritti tra le due guerre, ma anche ai suoi rapporti sociali negli ambienti letterari. Vi sono inoltre le poesie redatte da Camille Gorgé, ministro di Svizzera a Tokyo durante la guerra, e i racconti di Frédéric Barbey. Questi autori sono accomunati dalla distinzione netta che sembra imporsi tra la loro attività di scrittore e di diplomatico. Bisogna aggiungere che la timida diplomazia elvetica non concepisce il prestigio delle lettere come un atout decisivo nella condotta degli affari nazionali all’estero.
All’indomani della Seconda Guerra mondiale un nuovo tipo di profilo riesce a raggiungere le cerchie della diplomazia: nelle delegazioni importanti – Washington, Londra e Parigi – gli addetti stampa, e persino gli addetti culturali, vengono reclutati tra l’altro per le loro capacità redazionali. L’esempio più rappresentativo di questo percorso è senza dubbio quello di Bernard Barbey: già scrittore (Le Crépuscule du matin, La Maladère) e direttore letterario presso le edizioni Fayard prima della guerra, si ritrova a suo agio quando è inviato nella capitale francese in qualità di addetto culturale, dopo aver prestato servizio come aiutante di campo del Generale Guisan. In questo caso, l’attività letteraria e diplomatica si alimentano l’una con l’altra: premio dell’Accademia francese con Chevaux abandonnés sur le champ de bataille (1951), avanza parallelamente di grado nella gerarchia dell’UNESCO.
Il caso di Barbey rimane però isolato. Il quartier generale a Berna, deciso a mantenere una diplomazia discretamente efficace, si mostra restio, e nel 1947 pubblica un rapporto intitolato “La professione di scrittore è compatibile con la funzione di diplomatico?”: la risposta è evidentemente negativa e vale come un avvertimento nei confronti di una qualsiasi vocazione letteraria in seno al personale diplomatico.
Sottoposti come ogni buon funzionario al dovere di riserva, i diplomatici tentati dal prendere in mano la penna hanno dovuto sviluppare delle strategie per aggirare questo ostacolo. È il caso ad esempio di Frédéric Dubois, diplomatico a Parigi e in seguito a Berna, nonché direttore dell’Ufficio federale della cultura, che utilizzerà lo pseudonimo di Julien Dunilac.
Archivi:
AFS, E 3001 (B), 1000/731/56.
Bibliografia:
Rial, Jacques, Le bicorne et la plume: les publications de diplomates suisses de 1848 à nos jours: un essai de bibliographie. Diplomats as writers. Msida; Geneva: DiploFoundation; Graduate Institute of International and Development Studies, 2008.