Mosca 1973: Pro Helvetia richiamata all'ordine

par Thomas Kadelbach

Thomas Kadelbach, né en 1979. Après des études d'histoire et littérature française à Angers, Fribourg et Madrid, il collabore au projet de recherche FNS Les relations culturelles internationales de la Suisse, 1945-1990. Thèse de doctorat sur Pro Helvetia et l'image de la Suisse à l'étranger. Actuellement collaborateur scientifique à l'Université de Neuchâtel.
, Thomas Kadelbach, born in 1979. Studied history and French literature in Angers, Fribourg and Madrid. Research assistant in the SNSF research project Switzerland's International Cultural Relations, 1945-1990. PhD thesis on Pro Helvetia and the image of Switzerland abroad. Currently scientific collaborator at the University of Neuchâtel.

film
settimane del cinema
paesi dell'Est

Il 20 novembre 1973 un telegramma dell'ambasciata svizzera a Mosca, inviato in fretta e furia dopo l’inaugurazione della settimana del cinema organizzata da Pro Helvetia, fa il giro del Dipartimento politico a Berna. Temendo delle conseguenze negative per la reputazione della Svizzera in Unione sovietica, il corpo diplomatico raccomanda alla centrale di ritirare numerosi film dal programma e di chiedere delle spiegazioni all'istituzione responsabile della manifestazione. Il motivo del suo intervento: la proiezione dei lungometraggi Storia di confine e Black-out, che presentano la Svizzera con sguardo critico.

Mentre Storia di confine narra una vicenda di contrabbando alla frontiera italo-svizzera durante la Seconda Guerra mondiale, Black-out mette in scena una coppia di pensionati che, temendo un deterioramento imminente della situazione internazionale, trasforma il proprio appartamento in un enorme deposito di cibo per resistere a lungo a un pericolo puramente fittizio.

Indignata, la moglie dell'ambasciatore svizzero a Mosca commenta in una lettera inviata al Dipartimento politico: Davano Storia di Confine, un film immondo che dà un'immagine desolante del nostro paese. […] Le guardie di confine in uniforme militare sono corrotte, bestiali, brutali o semplicemente idiote, quando non sono lubriche. Sarebbe poca cosa se la bandiera svizzera non fosse presente costantemente in tutte le scene disgustose, o diciamo piuttosto la croce bianca su fondo rosso: sulle coperte, il ritratto del Generale Guisan, ecc. Non siamo degli angeli, ma lasciare proiettare in questo paese un'immagine tanto putrefatta della Svizzera è scandaloso.

La settimana svizzera del cinema in Unione sovietica, accolta nel novembre 1973 dalle città di Mosca, Leningrado e Tbilisi, è organizzata da Pro Helvetia in collaborazione con l'Associazione dei registi svizzeri e l'ambasciata sovietica a Berna. Come in altre manifestazioni dello stesso tipo, l'accento è posto sulle produzioni recenti del cinema elvetico, conformemente alla concezione delle settimane del cinema svizzero che intendono innanzitutto essere una piattaforma per i cineasti. Nel caso della settimana del cinema di Mosca questo orientamento si riflette nella partecipazione di numerosi registi rappresentativi del nuovo cinema come Alexander Seiler, Yves Yersin e Markus Imhoof che, al loro arrivo nella capitale dell'Unione sovietica, sottolineano la vocazione critica dei loro film.

Mentre il segretario generale del Dipartimento politico ritiene che occorra mettere un freno immediato all’Unfug , cioè alle stupidaggini di Pro Helvetia nella capitale sovietica, la Sezione cinema del Dipartimento federale dell'interno si oppone a una censura della manifestazione: tale misura provocherebbe un moto di protesta nella stampa svizzera e non rispecchierebbe la libertà d’espressione e i valori democratici svizzeri. Malgrado le proteste dell'ambasciata, essendo stata accolta positivamente dalla stampa sovietica, la settimana del cinema svizzero continua il suo itinerario secondo il programma iniziale. La questione, che dimostra l'antagonismo tra la promozione dell'immagine e lo scambio culturale, è oggetto di diversi rapporti inviati al Consiglio federale.

Nella loro analisi della settimana del cinema svizzero in Unione sovietica, i cineasti ammettono un certo scarto fra gli obiettivi preposti e la ricezione dei film. La critica sociale e l'ironia spesso non sono state comprese dal pubblico, abituato a un cinema soprattutto di propaganda. Il film Notre maître di Seiler, per esempio, che denuncia i metodi tradizionali di insegnamento, è percepito dagli spettatori moscoviti, abituati alle uniformi scolastiche, come un esempio di pedagogia di avanguardia. (tk)

Archivi
AFS E2003(A) 1988/15, Vol. 486

medias

"Black-out", 1970

Manifesto del film Black-out (1970) di Jean-Louis Roy. Il film è all'origine delle polemiche scaturite in occasione della settimana del cinema svizzero a Mosca.
Collezione Cineteca svizzera 

"Black-out", 1970

Black-out mette in scena una coppia di pensionati che, temendo un deterioramento imminente della situazione internazionale, trasforma il proprio appartamento in un enorme deposito di cibo.
Collezione Cineteca svizzera 

"Black-out", 1970

Lucie Avenay e Marcel Merminod interpretano i due anziani protagonisti.
 

Collezione Cineteca svizzera 

"Storia di confine", 1971

Manifesto del film Storia di confine (1971) di Bruno Soldini.
Collezione Cineteca svizzera

"Storia di confine", 1971

Storia di confine racconta una vicenda di contrabbando alla frontiera italo-svizzera durante la Seconda Guerra mondiale.
Collezione Cineteca svizzera

"Storia di confine", 1971

L'ambasciata svizzera a Mosca non condivide la scelta del film: Le guardie di confine in uniforme militare sono corrotte, bestiali, brutali o semplicemente idiote, quando non sono lubriche.
Collezione Cineteca svizzera

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